Il comma 35 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per l’anno 2015), ha ridefinito il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui all’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9.
Il comma 14 del novellato articolo 3 del citato d.l. n. 145/2013 rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, l’individuazione delle disposizioni applicative necessarie per poter dare attuazione al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, nonché delle modalità di verifica e controllo dell’effettività delle spese sostenute, delle cause di decadenza e revoca del beneficio, delle modalità di restituzione del credito d’imposta indebitamente fruito.
Il decreto consta di 10 articoli.
L’articolo 1 individua l’oggetto del decreto, precisando che lo stesso contiene le disposizioni necessarie per dare attuazione all’incentivo, sotto forma di credito d’imposta, agli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, comprese quelle concernenti le modalità di verifica e di controllo delle spese sostenute, le cause di decadenza e di revoca del beneficio, nonché le modalità di restituzione del credito d’imposta indebitamente fruito.
L’articolo 2, ricalcando le disposizioni dei commi 4 e 5 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 145/2013, contiene l’elenco delle attività di ricerca e sviluppo ammissibili al credito d’imposta e di quelle escluse dal beneficio.
L’articolo 3 disciplina l’ambito soggettivo, ammettendo al beneficio, in base a quanto stabilito dal comma 1 dell’articolo 3 del DL n. 145/2013, tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime contabile adottato, che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019. Trattasi, quindi, di una misura generale in favore di tutte le imprese.
L’articolo 4 elenca i costi ammissibili al credito d’imposta, nel rispetto di quanto contenuto nel comma 6 dell’articolo 3 del DL n. 145/2013. Rispetto a tale ultima norma l’articolo 4 chiarisce che:
a) le spese relative al personale sono ammissibili se nelle attività di ricerca e sviluppo eleggibili è impiegato personale altamente qualificato:
1) dipendente dell’impresa, con esclusione del personale addetto a mansioni amministrative, contabili e commerciali;
2) in rapporto di collaborazione con l’impresa, compresi gli esercenti arti e professioni, a condizione che svolga la propria attività presso le strutture della medesima impresa;
b) nel caso di acquisizione degli strumenti e delle attrezzature di laboratorio mediante locazione finanziaria alla determinazione dei costi ammissibili concorrono le quote capitali dei canoni, nella misura corrispondente all’importo deducibile ai sensi dell’articolo 102, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in rapporto all’effettivo impiego per le attività di ricerca e sviluppo. Qualora, invece, i medesimi strumenti ed attrezzature di laboratorio siano acquisiti mediante locazione non finanziaria, il valore al quale applicare i coefficienti di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 dicembre 1988 è rappresentato dal costo storico del bene risultante dal relativo contratto di locazione, ovvero da una specifica dichiarazione del locatore;
c) le spese relative alla ricerca extra muros – ovverosia quella commissionata ad università, enti di ricerca e organismi equiparati, nonché ad altri soggetti, comprese le start-up innovative – non includono quelle relative alle commesse affidate alle società del gruppo. Sul punto, preme precisare che dai costi relativi alla ricerca extra muros sono stati espressamente esclusi quelli sostenuti in base a contratti stipulati con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, in quanto si è ritenuto di attenersi al dato letterale della norma primaria che, nel fare riferimento alla ricerca commissionata a terzi, non ha incluso la ricerca
commissionata tra società dello stesso gruppo, maggiormente inquadrabile nell’ambito della ricerca intra muros.
Va, altresì, precisato che con riferimento all’ipotesi in cui l’attività di ricerca e sviluppo venga commissionata da un’impresa residente in Italia a imprese residenti all’estero, il comma 5 pone un ulteriore condizione ai fini dell’ammissibilità dei costi, prevedendo che i relativi contratti di ricerca debbano essere stipulati con imprese residenti o localizzate in Stati membri dell’Ue, in Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) ovvero in Paesi e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.
Al riguardo, vale la pena, inoltre, precisare che nel novero dei beneficiari non possono ritenersi inclusi i soggetti che effettuano attività di ricerca e sviluppo su commissione di terzi, e ciò in quanto l’articolo 3 del d.l. n. 145/2013 – contrariamente a quanto avvenuto con il credito d’imposta in materia previsto dall’articolo 1, commi 280 e successivi, della legge n. 296/2006 – riconosce la misura agevolativa in questione solo alle imprese che investono risorse in attività di ricerca e sviluppo, sia svolgendola direttamente sia commissionandola a terzi sulla base di appositi contratti. Pertanto, nell’ipotesi di ricerca commissionata da un’impresa non residente, priva di stabile organizzazione nel territorio dello stato italiano, ad una impresa residente o alla stabile organizzazione di un soggetto non residente, né la prima, per mancanza del presupposto della territorialità, né le seconde, potranno beneficiare del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo.
L’articolo 5 individua la misura dell’agevolazione concedibile e le modalità di calcolo della stessa. Più precisamente, i commi 1 e 2 prevedono che il credito d’imposta è riconosciuto fino ad un importo massimo annuale di euro 5 milioni per ciascun beneficiario a condizione che la spesa complessiva per investimenti in attività di ricerca e sviluppo effettuata in ciascun periodo d’imposta in relazione al quale si intende fruire dell’agevolazione ammonti almeno ad euro 30.000 ed ecceda la media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015 ovvero, qualora si tratti di imprese in attività da meno di tre periodi d’imposta, la media degli investimenti in attività di ricerca e sviluppo calcolata sul minor periodo a decorrere dalla costituzione. Posto che la media di riferimento individuata dalla norma primaria per il calcolo della spesa incrementale resta fissa, poiché ancorata ai periodi d’imposta 2012-2014, ne deriva che per le imprese costituite successivamente al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014, la media di riferimento non potrà che essere pari a zero, in quanto anch’essa andrà calcolata con riferimento ai costi sostenuti nei periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015.
Il comma 3, invece, individua la misura del beneficio, differenziandola in funzione della diversa aliquota del credito d’imposta disposta per tipologie di spese (50 per cento della spesa incrementale relativa ai costi di cui alle lettere a) e c) del comma 1 dell’articolo 4 del presente decreto; 25 per cento della spesa incrementale relativa ai costi di cui alle lettere b) e d) del medesimo articolo 4, comma 1), e le modalità di determinazione della spesa incrementale.
Nel presupposto che il beneficio spetta sempre che vi sia un incremento complessivo di spese in attività di ricerca e sviluppo e fino a concorrenza delle stesse, è stato adottato un criterio secondo cui, ai fini del calcolo del credito d’imposta spettante, è necessario dapprima determinare la spesa incrementale agevolabile separatamente per ciascuna tipologia di spese, confrontando l’ammontare dei costi di cui alle lettere a) e c) ovvero di cui alle lettere b) e d) del comma 1 dell’articolo 4 sostenuti nel periodo d’imposta per il quale si intende fruire dell’agevolazione con la media annuale riferita ai rispettivi medesimi costi sostenuti nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015 ovvero nel minor periodo dalla data di costituzione. Qualora entrambe le tipologie di spese dovessero evidenziare un incremento, il credito d’imposta spettante sarà determinato applicando a ciascun incremento l’aliquota del credito d’imposta prevista per il relativo gruppo di spese; qualora, invece, l’incremento dovesse riguardare soltanto una delle due tipologie di spese, il credito d’imposta dovrà essere calcolato applicando l’aliquota, prevista per il gruppo di spese che ha evidenziato l’incremento, sull’ammontare della spesa incrementale complessiva determinata ai sensi del comma 2.
L’articolo 6 disciplina le modalità di fruizione nonché il regime fiscale del credito d’imposta ricalcando le disposizioni dei commi 8 e 9 del DL n. 145/2013. Al riguardo, il decreto chiarisce che il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi ammissibili sono stati sostenuti, in
quanto è solo da quel momento che sono noti tutti gli elementi per la determinazione del calcolo della spesa incrementale ed è, quindi, verificabile la spettanza e l’entità del credito d’imposta.
Al riguardo, vale la pena precisare che, sebbene non espressamente previsto dal presente decreto, per le caratteristiche del credito d’imposta in esame, non si applica la preclusione di cui all’articolo 31 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che prevede un divieto di compensazione ai sensi dell’articolo 17, comma 1, del citato decreto legislativo n. 241/1997 dei crediti relativi alle imposte erariali in presenza di debiti iscritti a ruolo per imposte erariali ed accessori di ammontare superiore a 1.500 euro.
L’articolo 7 sancisce l’obbligo per le imprese beneficiarie di conservare, con riferimento ai costi sulla base dei quali è stato determinato il credito d’imposta in questione, tutta la documentazione utile a dimostrare l’ammissibilità degli stessi.
La documentazione contabile deve essere certificata dal soggetto incaricato della revisione legale o dal collegio sindacale o da un professionista iscritto nel registro della revisione legale ed allegata al bilancio, a meno che si tratti di imprese con bilancio certificato. A tale scopo, anche le imprese non soggette a revisione legale dei conti e prive di un collegio sindacale sono comunque tenute ad avvalersi della certificazione di un revisore legale dei conti o di una società di revisione legale dei conti.
Inoltre, il comma 5 precisa che, in ogni caso, le imprese sono tenute a conservare tutta la documentazione utile a dimostrare l’ammissibilità e l’effettività dei costi sulla base dei quali è determinato il credito d’imposta.
L’articolo 8 disciplina le attività di controllo in ordine alla corretta fruizione del credito d’imposta in questione da parte dell’Agenzia delle entrate, la quale, nel caso in cui si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico in ordine all’ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi sostenuti, può richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere.
Nel caso in cui, a seguito dei controlli, si accerti l’indebita fruizione, anche parziale, del credito d’imposta per il mancato rispetto delle condizioni richieste ovvero a causa dell’inammissibilità dei costi sulla base dei quali è stato determinato l’importo fruito, è previsto che l’Agenzia delle entrate provvede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge.
L’articolo 9 prevede la cumulabilità del credito d’imposta di cui al presente decreto con l’agevolazione prevista dall’articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Tale soluzione è stata adottata al fine di risolvere possibili criticità che avrebbero potuto conseguire dalla cessazione, disposta con decorrenza dal 1° gennaio 2015 dal comma 13 del novellato articolo 3 del d.l. n. 145/2013, del credito d’imposta attribuito dall’articolo 24 del d.l n. 83/2012 nella misura del 35 per cento del costo aziendale sostenuto per il personale altamente qualificato nel settore della ricerca per un periodo di dodici mesi decorrente dalla data di assunzione, con particolare riferimento alla violazione del legittimo affidamento di quelle imprese che nel corso del 2014 avevano effettuato assunzioni nella consapevolezza di poter beneficiare dell’agevolazione anche per i costi che, in dipendenza di dette assunzioni, sarebbero stati sostenuti nell’anno 2015. In tale ottica, quindi, si è ritenuto opportuno ammettere i costi sostenuti dalle imprese nel 2015, in virtù di assunzioni avvenute nel 2014, oltre che al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, anche al credito d’imposta di cui all’articolo 24 del d.l. n. 83/2012 nei limiti delle risorse stanziate per l’anno 2014.
L’articolo 10 prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze effettui, con cadenza mensile, il monitoraggio delle fruizioni del credito d’imposta in esame, ai fini di quanto previsto dall’articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.